Negli ultimi anni, in materia di diritto di famiglia, si è assistito ad un crescente sviluppo del ricorso alle procedure di mediazione familiare; un numero sempre maggiore di coppie intenzionate a porre fine alla loro unione, infatti, ha preferito intraprendere un percorso di mediazione familiare, prima di rivolgersi al Giudice.
Tale buona prassi è stata poi ben accettata dagli stessi Tribunali, con i Giudici che spesso, prima di entrare nel vivo del giudizio, hanno deciso di assegnare alle coppie da separare il compito di affrontare un percorso di mediazione familiare. Cerchiamo dunque di spiegare di cosa si tratti e quali siano le funzioni di questo istituto relativamente nuovo, e già oggi così utile.
La mediazione familiare è un percorso, che si compone di 10-12 sedute, mediante il quale viene ad instaurarsi un processo collaborativo di risoluzione del conflitto, in cui le coppie che abbiano deciso di separarsi sono assistite da un soggetto terzo imparziale (il mediatore), al fine di meglio comunicare e così trovare una soluzione concreta e condivisa alle proprie esigenze.
La mediazione viene principalmente utilizzata, spesso con ottimi risultati, nella gestione della fase di riorganizzazione della vita, che una coppia in fase di separazione deve necessariamente affrontare, e che spesso è caratterizzata da un elevato tasso di conflittualità, dovuto alle implicazioni sentimentali, legali, economiche e fiscali della scelta.
La mediazione, dunque, non è una terapia di coppia, e non viene prescritta per salvare una coppia dalla crisi, ma anzi offre i migliori risultati quando esperita per accompagnarla, nel modo più dolce possibile, in una nuova fase della vita; ciò avviene mediante l’accettazione della crisi del rapporto e delle sue ragioni, cui solitamente segue una “composizione armonica” del conflitto, che rispetti i bisogni di tutti i soggetti coinvolti.
Ciò, chiaramente, rende la mediazione familiare estremamente utile nei casi in cui la coppia abbia dei figli; infatti, esprimendo liberamente ed in sicurezza i reciproci bisogni, i genitori, grazie all’intervento del mediatore, saranno in grado di superare gli interessi individuali e potranno così perseguire un interesse comune, e cioè l’interesse dei figli, secondo il principio della bigenitorialità, o cogenitorialità.
Il principio di cogenitorialità sancisce che un bambino ha il diritto a mantenere un rapporto stabile e significativo con entrambi i genitori, anche nel caso in cui questi siano separati. Tale diritto si basa sul fatto che essere genitori è un impegno che si prende nei confronti dei figli e non dell’altro genitore, per cui esso non può e non deve essere influenzato da un’eventuale separazione. Né sul figlio si può far ricadere la responsabilità di scelte separative dei genitori. Sarà dunque compito del mediatore spiegare ai genitori quali siano le migliori modalità di tutela del diritto del proprio figlio, attraverso il ricorso alle proprie competenze.
Ma chi è il mediatore?
Il mediatore è un facilitatore della negoziazione tra due persone, che può avere una pregressa professionalità sia nelle scienze giuridiche (per esempio un avvocato), sia in quelle psico-sociali (ad esempio uno psicologo), la cui formazione è stata poi oggetto di specializzazione nelle tecniche di esplorazione del conflitto, volta al superamento dello stesso ed alla riattivazione di una sana comunicazione tra le parti.
In tal modo, viene offerta la possibilità che la risoluzione di una lite non sia esclusivamente basata sull’antiquato concetto antagonista “vittoria-sconfitta”, bensì trovi il proprio fondamento nel concetto di parità nella vittoria, ben riassunto dagli operatori anglossassoni con lo slogan “vittoria-vittoria” (in inglese, win-win).
Il mediatore deve essere terzo, imparziale, non giudicante. Egli non fornisce consigli sulla soluzione ai problemi che la coppia porta in mediazione, ma si limita a favorire forme di cooperazione, stimolando le parti nell’esplorazione di soluzioni innovative e personalizzate, da loro stessi create.
Il mediatore si occuperà poi anche della gestione delle emozioni, ma solo nella misura in cui ciò sia utile ai fini della risoluzione del conflitto, aiutando le parti ad arrivare alla consapevolezza dell’emozione, affinché riescano a controllarla meglio e superarne gli aspetti più dolori e negativi.
Pur prendendo atto del dolore, della rabbia e in generale delle emozioni delle parti, il mediatore deve dunque continuare a fare il suo lavoro, non permettendo che l’emotività abbia il sopravvento sulle questioni pratiche della trattativa, la cui soluzione resta il fine unico e irrinunciabile.
E una volta finito il percorso?
L’accordo raggiunto, direttamente negoziato dalle parti e dunque volontario, viene riversato in un verbale di accordo, che sarà poi recepito, a cura degli avvocati, nell’atto introduttivo del processo o addirittura nella sentenza del Giudice, quale impegno profondo di estremo rilievo, poiché negoziato direttamente dalle parti e rappresentante la loro volontà.
Per tale motivo il nostro Studio propone spesso ai propri assistiti la possibilità di esperire la mediazione familiare, poichè molto spesso utile.
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