A causa della corrente epidemia di Virus COVID-19, costituisce, purtroppo, argomento di grande attualità la sorte di tutte quelle obbligazioni contrattuali che, in conseguenza dell’emergenza sanitaria, siano improvvisamente divenute più gravose, se non addirittura insostenibili.
Al riguardo, è utile ricordare come nel nostro ordinamento giuridico non sia ravvisabile una norma di carattere generale che preveda, a fronte di circostanze imprevedibili che abbiano alterato sensibilmente l’equilibrio contrattuale, un diritto-dovere di rinegoziare le clausole divenute inique.
La rinegoziazione contrattuale, infatti, appare essere un rimedio straordinario e di applicazione ridotta nel nostro ordinamento, risultando previsa solo per alcuni casi tipici (n.d.r. normativamente individuati a priori, e dunque tassativi), al di fuori dei quali l’ordinamento attribuisce rilevanza alle sopravvenienze negative soltanto sotto il profilo della risoluzione contrattuale, così come espressamente prevista dall’Art. 1467 c.c. (n.d.r. risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta).
Tuttavia, l’assenza di una previsione normativa di generale applicazione non può portare a ritenere che l’ordinamento non appresti alcuna tutela in favore di chi si ritrovi danneggiato dall’emergenza insorta.
Infatti, una fedele e puntuale applicazione del principio di buona fede, che costituisce anche uno dei criteri di interpretazione del contratto stesso, consentirà alle parti di addivenire ad una rinegoziazione del proprio contratto, con particolare riferimento alle clausole divenute eccessivamente onerose, anche nell’ipotesi di mancata espressa previsione di una clausola di rinegoziazione (c.d. hardship clause).
In altre parole, in casi straordinari e di emergenza, la buona fede può essere interpretata come un vero e proprio “obbligo di solidarietà che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali, sono idonei a preservare gli interessi dell’altra parte, facendo aderire il regolamento contrattuale alla reale situazione di fatto nel frattempo evolutasi” (cfr. cit. Luciano Castelli, in Diritto24 dell’ 11.03.2020).
Può concludersi, pertanto, che l’obbligo di rinegoziare comporti per le parti il dovere, in presenza dei presupposti che lo rendono necessario, di raccogliere positivamente l’invito a rinegoziare, accettando le modifiche proposte o proponendo soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza economica, ne consentano un riequilibrio degli accordi.
Corollario finale del citato obbligo di rinegoziazione sarà, poi, che, laddove una parte rifiuti, senza fondato motivo, di rinegoziare il contratto divenuto iniquo, la parte non inadempiente potrà agire per la risoluzione del contratto per inadempimento, nonchè per il risarcimento del danno; non può inoltre escludersi che il Giudice possa, una volta accertata la sussistenza dei relativi presupposti, modificare direttamente le pattuizioni contrattuali divenute inique, così da ricondurle ad equità.
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