L’Assegno di Mantenimento in favore dei Figli Minori

L’Art. 30 della Costituzione, al comma 1, prevede il dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Da tale assunto ne deriva che i coniugi, anche quelli separati o divorziati, siano obbligati per Legge a provvedere al sostentamento della prole. Se durante il matrimonio l’obbligo di mantenimento viene adempiuto senza problemi, nel momento di crisi del rapporto, spesso si incontrano maggiori difficoltà.

I criteri secondo cui ciascun genitore debba provvedere al mantenimento dei figli sono sanciti dall’Art. 337 ter del Codice Civile, che statuisce: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio.

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.

4) le risorse economiche di entrambi i genitori.

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.”

Premesso che tale intervento giudiziale potrebbe non rendersi necessario in caso di separazione consensuale con una previsione della distribuzione dei diritti e dei doveri nei confronti della prole, che sia personale e adeguata al proprio stile di vita, il minore, che versa già in una situazione di sconvolgimento emotivo, psicologico e in termini di abitudini quotidiane, deve poter continuare a condurre la propria vita secondo il tenore di vita mantenuto durante il matrimonio. I genitori cioè devono prodigarsi affinché gli sia assicurato tutto ciò che è necessario al soddisfacimento dei suoi bisogni. La fonte dell’obbligo del contributo al mantenimento dei minori discende dagli artt. 147, 148 e 316 bis c.c., e viene declinata, appunto, nel citato Art. 337 ter.

Il Giudice, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole, nella commisurazione dell’importo dell’assegno di mantenimento, deve dunque tenere in considerazione: le esigenze del bambino; il tenore di vita avuto sino a quel momento; i tempi di permanenza presso ciascun genitore, che anche se paritetici non escludono l’obbligo di versamento di un assegno periodico; la situazione economica dei genitori, mediante una ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti; l’apporto di ciascun genitore in termini di compiti domestici e cura, con valorizzazione del lavoro di cura e casalingo svolto da ciascun coniuge, superando la tradizionale distinzione secondo cui solo il lavoro professionale è retribuito. La disposizione dell’assegno di mantenimento è improntata ad un principio di proporzionalità: infatti, vengono presi in considerazione nella commisurazione dell’importo non solo gli indici reddituali, ma anche l’effettiva presenza, affettiva e di cura quotidiana del genitore nella vita dei figli.

Al mantenimento si provvede generalmente a mezzo assegno o diversamente mediante costituzione di un trust ponendo un vincolo di destinazione su dei beni immobili oppure pagando di una somma di denaro una tantum.

Nel caso in cui il giudice ritenga che la corresponsione dell’assegno sia a rischio, può chiedere al genitore obbligato di prestare un’idonea garanzia personale (fideiussione) o reale (ipoteca, pegno).

L’importo dell’assegno di mantenimento per i figli minori o la disposizione stessa di un assegno è sempre modificabile, mediante l’istaurazione di un nuovo giudizio, nel caso intervengano mutamenti positivi o negativi delle condizioni economiche delle parti.

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