L’istituto dell’assegnazione della casa familiare e la sua applicazione pratica hanno da sempre costituito un tema di acceso dibattito in materia di diritto di famiglia.
Sebbene, infatti, il citato istituto trovi il proprio fondamento nel principio della priorità dell’interesse dei figli minori in tutte le valutazioni che riguardano l’attribuzione del godimento della casa coniugale dopo la fine della convivenza della coppia, la richiesta di assegnazione della casa familiare viene utilizzata dai genitori contendenti, quale strumento di rivalsa nei confronti del proprio ex.
Al fine dunque di evitare distorsioni applicative dell’istituto, le cui ragioni fondanti sono certo condivisibili, la Suprema Corte di Cassazione ha agito quale attenta custode, confermando senza indecisioni come l’assegnazione del godimento della casa familiare debba essere disposta esclusivamente al fine di tutelare l’interesse prioritario dei figli minori a permanere nella stessa, perché questa è «intesa come il centro degli affetti degli interessi e delle consuetudini, in cui si articola e si esprime la vita» della famiglia (Cassazione, 5384/1990).
Pare allora opportuno procedere ad una breve disamina di quali siano stati i più recenti e significativi interventi della Suprema Corte sul tema, al fine di illustrare quali ulteriori chiarimenti siano stati forniti, circa la natura e i confini del diritto a godere della casa familiare.
In primo luogo, deve ricordarsi la Sentenza n. 7395/2019, con cui la Cassazione ha precisato come l’assegnazione del «godimento della casa familiare» non costituisca certo un’ulteriore tipologia di diritto reale (cioè un diritto sul bene), costituendo semmai un «atipico diritto personale» dell’assegnatario; ne consegue che non possa richiedersi alcunchè all’assegnatario a titolo di imposte sull’immobile, in quanto inscindibilmente riconnesse con la sola proprietà e/o altri diritti reali (ad. es. usufrutto).
In secondo luogo, con l’Ordinanza n. 9990/2019, la Suprema Corte, è intervenuta in materia di «opponibilità» al terzo del «diritto di assegnazione della casa familiare», osservando come questa possa valere in danno del terzo acquirente, solo se quest’ultimo abbia acquistato la proprietà con la clausola del «rispetto della detenzione qualificata». Ne deriva che non possa presumersi un’anticipazione di tutela dell’interesse familiare fondata sulla mera preesistente relazione tra il nucleo familiare e l’immobile rispetto ai diritti vantati dal terzo acquirente, il quale dunque potrà ottenere la liberazione dell’immobile acquistato.
In terzo luogo, con l’Ordinanza n. 10204/2019, la Suprema Corte di Cassazione ha escluso «l’assegnazione d’ufficio (n.d.r. cioè senza domanda della parte, per autonoma decisione del Giudice) della casa coniugale», in presenza di figli maggiorenni e non autonomi. La speciale tutela dell’habitat dei figli minorenni, non è infatti estesa anche ai figli maggiorenni, seppur coabitanti con un genitore: in assenza di una specifica domanda, dunque, il giudice non potrà provvedere d’ufficio a tutele non previste dalla Legge.
Infine, merita un cenno di commento, la recentissima Ordinanza n. 510/2020, con cui la Corte di Cassazione è poi tornata sul tema della “unicità” dell’immobile che costituisce la casa coniugale e, quindi, sulla sua assegnazione nella sua totalità. Ribadendo l’indivisibilità dell’habitat familiare, quale centro degli affetti e delle consuetudini, infatti, gli Ermellini hanno specificato che, quando si eccepisca l’autonomia di una porzione di immobile rispetto all’unicità della dimora familiare, sia onere del richiedente dimostrare «la cessazione del relativo vincolo».
Per ulteriori informazioni su questo articolo e fissare un appuntamento online potete chiamare lo 02.99244175 o inviarci una mail a mail@sollazzozuccala.com. I Professionisti di Studio Legale Sollazzo Zuccàla saranno lieti di fornirvi il loro supporto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA